mercoledì 7 maggio 2008

Il concetto limite di videogioco

Questo post è stato pubblicato il 21 Giugno 2007 come editoriale sul portale http://www.metalgearweb.net/ .

Ogni era videoludica ha avuto i suoi portavoce: qualche tempo fa - più o meno quando io nemmeno ero nata - non si poteva fare a meno di divertirsi con Tetris e con PacMan. Poi fu la volta dei videogame più impegnativi, come Super Mario del celeberrimo Miyamoto. Solo anni dopo la nostra saga, che aveva già visto nascere Outer Heaven e Zanzibar Land, che avevano incantato il Giappone, si impose all'attenzione dei mass media e del pubblico come vero e proprio colossal: quando fu presentato il primo trailer di Metal Gear Solid, all'E3 del 1997, tutti gridarono al miracolo e si dichiararono increduli. Non credevano ai loro occhi e, ancor meno, alle loro orecchie, mentre il maestro Kojima - allora un ragazzino - parlava, gli spiegava in cosa effettiva consisteva il suo ambizioso ma poi riuscitissimo progetto.
Ma perché? Perché Metal Gear Solid non è mai stato, né mai sarà, un semplice e disimpegnato videogame? Cos'ha in più degli altri colossal che cercarono e cercano tutt'ora di attaccare il suo trono, come Syphon Filter e Splinter Cell? Precisando il fatto che questo editoriale non vuole essere portavoce di una game-war (anche perché non ci sarebbe assolutamente competizione), ma semplicemente un'analisi dei caratteri portanti della nostra saga preferita, mi arrogo il diritto di proseguire.

Innanzitutto, Metal Gear Solid non ha mai avuto, in nessun profilo ed in nessun episodio, niente di scontato: dal progetto Les Enfantes Terribles ai Patriots, dall'Eredità dei Filosofi al figlio di The Boss, dalla tematica del parricidio all'amicizia di Solid e Fox. Il maestro Kojima non è mai caduto nel banale e, sopratutto, non è mai caduto nel patetico, adagiandosi sull'onda del successo commerciale e lasciandosi cullare dai profitti che, capolavoro o no, sarebbero arrivati comunque. Mai. Ed ecco una prima caratteristica portante del nostro capolavoro: chi produce Metal Gear Solid ama farlo. Non lo fa per esclusivo guadagno o perché deve, ma perché vuole. E così vediamo l'immagine del maestro Kojima che, biro alla mano, si siede alla sua scrivania, cercando di spiegarci, nel prossimo episodio, dove sia finito il figlio di Olga, chi siano i Patriots e, maledizione, che razza di dannata fine farà Solid Snake?
Metal Gear Solid non ha mai preteso di essere un semplice videogames: criticato dagli invidiosi e dagli amanti del gameplay immediato per l'infinita mole di sequenze video che esplicano la trama nel corso del gioco, è sempre stato molto più simile ad uno straordinario film che non ad un videogame. Ma la sua sceneggiatura glielo permette, e non annoia mai. Giocare a Metal Gear Solid è come leggere un fantastico libro: si smania per arrivare al capitolo successivo, impazienti di scoprire cosa potrà mai accadere e, sopratutto, come andrà a finire. Partendo sempre da presupposti semplici - bloccare un gruppo terroristico che minaccia di lanciare un missile nucleare, riportare a casa le prove della presenza del RAY in una nave Marine, riportare negli Stati Uniti il dottor Nikolai Stepanovich Sokolov - Kojima riesce a diramare la storia, ad espanderla sempre più senza mai fossilizzarsi su un protagonista e su un antagonista, ma creando personaggi dinamici e reali, pur laddove fantasiosi (vedasi Mantis, Octopus, Vamp o la Cobra Unit) che, con parole sue, non appaiono, ma respirano.
Così, per fare un esempio classico, se Gabriel Logan è un agente tutto muscoli e mitragliatrice che alle parole preferisce di gran lunga i fatti, Solid Snake è un uomo tormentato dal passato e dal parricidio, coperto da una maschera che cela le sue paure scoprendo solo la sua ruvida facciata di soldato. E se Logan nell'ultimo Syphon Filter è identico a com'era nel primo, Snake no, perché Snake è un personaggio che ha vissuto, con noi e per noi, la storia di cui era protagonista, è un personaggio a cui i fatti non scivolano addosso. Come Kojima ha voluto dirci "insegnando agli altri, imparando l'uno dall'altro, solo così possiamo cambiare il mondo". Ed arriviamo ad uno Snake che ha imparato ad amare, a fare amicizia, a lottare, a morire.
Se Lian Xing è un altro personaggio statico, inserito in Syphon Filter semplicemente per fare da spalla al protagonista e per dare un tocco di femminilità all'azione, Meryl Silverburgh è dinamica addirittura all'interno del medesimo episodio: non è la spalla di Solid Snake, ma un personaggio a sé stante, molto di più che una semplice voce al Codec. Così, se all'inizio abbiamo una Meryl strafottente ma impaurita, al termine del primo episodio abbiamo un'adolescente che è appena diventata donna, che ha capito il valore della sua vita e che ha scoperto cosa significhi innamorarsi. E che ha imparato a combattere, al punto da divenire, in Guns of the Patriots, nuovo leader della a sua volta nuova Fox-Hound. Che cosa dire poi invece di Gray Fox? Fox, forse unica vera immagine dell'eroe classico per eccellenza, che combatte per un ideale senza mai perderlo di vista, a costo di morire, e che non volta mai le spalle a chi ha amato, umano e generoso, ma anche deciso e sanguigno, è un personaggio pulsante, uno dei più amati della serie, se non addirittura il più amato. E Raiden? Stiamo parlando forse del personaggio più complesso e più profondo dell'intera saga e di tutta la storia dei videogame, perché Raiden siamo noi stessi, fianco a fianco con Solid Snake. Siamo noi, raggirati dalla finta realtà, che crediamo di avere una vita normale e non ci poniamo troppe domande, che combattiamo nell'immediatezza e non contro di essa, che da Solid Snake abbiamo così tanto da imparare.
Che cosa dire allora degli antagonisti? Quanti di noi amano il fantastico personaggio di Revolver Ocelot, immortale ed infallibile, triplogiochista (o forse anche di più) eppure insostituibile nel cuore dei fans della serie. E Sniper Wolf? Lottiamo contro di lei per vendicarci di quanto accaduto a Meryl, perché ci provoca e ci insulta, perché - dannazione - la odiamo con tutti noi stessi per come ci tratta e per come agisce. La crivelliamo di proiettili, e dopo? Dopo piangiamo assistendo alla sequenza della sua morte.
Non parliamo di The Boss, allora. La donna mentore di Naked Snake, eroina perfetta, che pur di difendere il suo protetto e la sua patria accetta di morire, che non si tira indietro nemmeno innanzi alla paura. Uno dei personaggi che, in questi vent'anni di Metal Gear, ci ha insegnato di più. E non dimentichiamoci nemmeno lui, Naked Snake, da cui tutto inizia. E, chi lo sa, magari per via del quale tutto quanto termina.

In tutto questo, cosa effettivamente rimanda al concetto classico di videogame? Cosa? Con un'impostazione cinematografica, una sceneggiatura sorprendente e mozzafiato, un cast di personaggi assortito ed incredibile, un reparto sonoro hollywoodiano ed un doppiaggio sempre e comunque eccellente, anche nel lontano 1998, Metal Gear Solid non può essere considerato un semplice videogame, né pretenderebbe di esserlo. È, infatti, molto ma molto di più: è l'unione di tantissime forme d'arte. L'arte grafica, l'arte del disegno, l'arte musicale, l'arte della narrativa, l'arte cinematografica.
La conclusione giunge spontanea.
Metal Gear Solid non è un videogame. E non è nemmeno un film. È un'opera d'arte nata da menti e mani straordinarie. Ed ecco perché difficilmente troverà un suo eguale: quelle menti e quelle mani lavoreranno esclusivamente per lui. E per noi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

nel leggere questo post mi so commosso ...non posso che essere d'accordo con quello che hai detto